Dopo mesi di interminabile attesa arriva un semplice pack di cartone, abbastanza anonimo... o almeno così pensiamo, fino a quando ci accorgiamo che, mentre apriamo il pacco, appare il musetto di un coniglio e le sue orecchie si alzano, come a dirci che è sveglio e pronto a giocare – siamo sempre più in hype!
Dentro al pack troviamo un bellissimo neoprene grigio chiaro che solo due “malati” di materiali espansi come noi possono apprezzare e che mette in risalto l’arancio fluo del dispositivo... sembra un gioiello!
Ma veniamo al pezzo forte: vediamo il Rabbit all’interno della sua custodia trasparente, fighissima e molto curata, con inserti opachi in gomma rigida che hanno la funzione di proteggere il “coniglietto” e fare da sfondo alle icone che indicano le istruzioni d’uso.
Una volta aperta, la custodia trasparente diventa espositore per il dispositivo e ricorda le cassette che ascoltavamo con l’autoradio negli anni 90.
Finalmente abbiamo in mano il Rabbit, ma non capiamo bene come tenerlo: le dimensioni sono quelle di un blocchetto di post-it e non è immediato comprendere questo form factor... sebbene non sia molto più largo di un iPhone, viene spontaneo tenerlo con due mani.
Le plastiche sembrano molto sottili e guardando attentamente il bordo si notano dei piccoli avvallamenti, delle depressioni (dicesi “risucchio”) lungo tutta la superficie laterale, soprattutto intorno ai fori per le varie connessioni e intorno all’unico pulsante grigio. Solitamente nel design industriale si realizzano superfici opache per nascondere questi problemi, tipici dei prodotti economici e delle superfici piane realizzate in plastica, in questo caso hanno optato per la finitura lucida e la scelta di un colore così acceso – accesissimo – che aiuta a camuffare le imperfezioni. Una bella lezione di design del prodotto che ha anche lo scopo di rendere il dispositivo molto riconoscibile.
E poi c’è la rotella: uno scroll analogico che ci ricorda il passato, o un futuro alternativo.
Back to analogico: un richiamo a pulsanti e simili è presente in ogni prodotto disegnato da Teenage Engineering. Si è arrivati alla rotella del Rabbit R1 passando per la manovella del Playdate e la ghiera delle cuffiette per CMF. Interazioni fisiche riprese dal passato che rendono i prodotti più interessanti, ironici e a volte stravaganti in favore di un’interazione che intrattiene. Oggi bypassare il touch ci ricorda quanto rischiamo di perdere – e di perderci – in questo mondo digitale fatto di vetri perfetti e ultraresistenti, troppo difficili da rompere. Ci vuole coraggio per fare questo.
Proviamo ad animarlo ma la batteria è scarica. Siamo abituati a MacBook, iPhone, AirPods che arrivano già pronti per l’uso. Poco male, si potrebbe pensare... peccato che nella confezione manchi un cavo di alimentazione! 🤨
Riutilizziamo il cavo USB-C giallo del Playdate – di cui parliamo dopo – e mettiamo in carica il Rabbit. Dopo pochi secondi sul display finalmente compare il coniglietto che corre sulla ruota facendoci capire che sta ricaricando la batteria. ❤️
Dopo un po’ di tempo, il nostro Rabbit R1 è pronto per l’accensione. Subito chiede di collegarsi al wi-fi per scaricare gli aggiornamenti, ma la procedura di update è lenta, molto lenta, troppo lenta. Non sappiamo se sia colpa del device o dei server a cui si collega, ma dall’apertura del pack all’inizio della procedura di configurazione passa quasi un’ora. Se ci aggiungiamo i quattro mesi per riceverlo, sembra che l’attesa sia una costante!
Per configurare l’R1 dobbiamo creare un account accedendo da Mac all’hub cloud rabbithole – ottimo naming, bisogna riconoscerlo – ma, come purtroppo già sappiamo, i servizi attivabili sono veramente pochi:
Finita la configurazione iniziamo a giocare con il nostro Rabbit e ci rendiamo conto che sa fare ancora veramente poco: può dirci il meteo, impostare una sveglia, scattare foto, fare traduzioni, salvare memo e riprodurre musica tramite Spotify, ma lo fa male, lentamente e con un’interazione spesso frustrante.
Qualche esempio:
L’assistente vocale si attiva solo tenendo premuto il pulsante laterale – mentre siamo abituati ai comandi vocali con “Hey Siri”, “Alexa” e “Ok Google” – e l’unico feedback di attivazione delle modalità di ascolto sono le orecchie del coniglio che si alzano. Sì, carino ma decisamente poco visibile. Inoltre le risposte sono lente se paragonate alla reattività di qualsiasi altro assistente vocale.
Alla domanda: “Which language does Rabbit R1 support?” non risponde e apre automaticamente il traduttore istantaneo. Questo succede ogni volta che nella conversazione pronunciamo le parole “translation” o “languages”. Non esattamente quello che ci aspettavamo.
Difficile capire come accedere ai setting per regolare il volume dell’assistente vocale. Ci tocca guardare una review online – Spoiler: bisogna shakerare il dispositivo.
La fotocamera si attiva con un doppio click del pulsante laterale, poi serve un click per scattare la foto e un altro doppio click per tornare alla vista principale. Peccato che ogni volta che tentiamo di uscire, scatta accidentalmente un’altra foto.
E non c’è verso di visualizzare le foto, nemmeno chiedendo all’assistente. L’unico modo consiste nell’accedere al sito rabbithole.
Non riusciamo a collegare il nostro account da rabbithole. Sembra esserci un problema nella visualizzazione della pagina di login a Uber per cui, dopo diversi tentativi, rinunciamo. Andremo a piedi!
Purtroppo anche con Spotify la musica non cambia! L’unico modo per avviarne la riproduzione è tramite comandi vocali, ma il riconoscimento è impreciso: il Rabbit R1 capisce i nomi degli artisti o delle canzoni solo una volta su tre. Quando riusciamo a riprodurre il brano richiesto, ci imbattiamo nel peggior momento della nostra user experience: la regolazione del volume. Ci saremmo aspettati di poter utilizzare la rotella, che però si comporta in maniera strana:
L’unica soluzione per regolare il volume è affidarsi ai comandi vocali, metodo tutt’altro che rapido e preciso. Solo guardando una recensione online scopriamo che il volume si può regolare anche tenendo premuto il pulsante laterale e ruotando la ghiera.
Dal nostro punto di vista, qui ci sono dei grossi problemi di usabilità e di progettazione dell’interazione.
La cosa più assurda, però, è che Spotify non riconosce la condivisione dell’account con il Rabbit. Per ben tre volte abbiamo ricevuto notifiche di accesso anomalo, che ci hanno costretto a cambiare la password ad ogni nuovo tentativo.
Dopo meno di un’ora di utilizzo, siamo delusi e frustrati. Ci uniamo alle conclusioni di tanti altri designer e tech specialist: allo stato attuale, il Rabbit R1 è un dispositivo bello ma totalmente inutile.
Cosa salviamo?
Il design del prodotto e anche la mascotte, che è simpatica e divertente. Il Rabbit trasmette emozioni e, come assistente personale, è meno noioso di Siri, Alexa e compagnia bella. Ci ricorda tantissimo un tamagotchi.
Il fondatore di Rabbit Inc., Jesse Lyu, ha presentato il Rabbit R1 come un “dispositivo mobile rivoluzionario”, progettato per essere:
"il computer più intuitivo di sempre, qualcosa che non ha bisogno di essere imparato."
Il Rabbit R1 dovrebbe essere un “compagno” che impara a conoscerci e svolge compiti al posto nostro. L’idea è affascinante, ma la realtà è molto diversa: come abbiamo già visto, non sono tutte buone idee quelle che luccicano. L’obiettivo di sostituire i sistemi operativi basati su app con un’interfaccia minimalista è ben lontano dall’essere realizzato.
Qui il video della presentazione ufficiale.
A differenza di un LLM (Large Language Model) come chatGPT, il LAM (Large Action Model) che alimenta il RabbitOS è stato progettato non solo per dialogare, ma soprattutto per compiere vere e proprie azioni, come fare una prenotazione completa per un viaggio o un pagamento, interagendo con diversi portali, software o app.
Il RabbitOS dovrebbe fare tutto questo con un’interfaccia minimale che richieda la minima interazione con l’utente: è chiaro – anche a noi – che il Rabbit R1 non è ancora in grado di mantenere questa promessa.
Riuscirà il piccolo Rabbit, magari nei prossimi mesi tramite i tanto attesi update, a raggiungere il suo obiettivo? O farà la fine di tanti tamagotchi dimenticati e morti di fame?
Oltre alle evidenti lacune tecniche, c’è un altro grosso problema: la credibilità dell’azienda. Il Rabbit R1, per funzionare al meglio, richiede l’accesso a una vasta quantità di dati personali: account Uber, Spotify, informazioni bancarie e così via.
Un’azienda come Apple può permettersi di chiedere e utilizzare queste informazioni per conto dei suoi utenti perché negli anni ha acquisito la loro fiducia, lavorando tantissimo sul garantire la privacy. Ma ci fidiamo di condividere tutti questi dati con una start-up che, ad oggi, non riesce nemmeno ad assicurare un accesso sicuro a Spotify?!
Un conto è spendere 200$ per provare il gadget del momento, un’altra cosa è dare il consenso all’utilizzo dei propri dati personali, bancari e alle abitudini d’uso ad una start-up appena nata e che ha già deluso i suoi primi clienti.
Da designer ci siamo posti una domanda cruciale: perché creare un dispositivo fisico quando tutte le promesse – e le conseguenti delusioni – sono legate al software? Sia il modello LAM che RabbitOS, per come sono stati concepiti, avrebbero potuto essere sviluppati come un sistema operativo o un’app indipendente, installabile su smartphone o computer. Questo avrebbe reso il progetto molto più scalabile dal punto di vista commerciale. La necessità di un dispositivo fisico sembra dettata più dall’esigenza di vendere un prodotto tangibile, nonostante il software sia ancora in una fase acerba. È una dinamica tipica di Kickstarter: sfruttare un design accattivante – creato, non a caso, da Teenage Engineering, noto per i suoi prodotti iconici – per raccogliere fondi, anche se ciò non è stato dichiarato apertamente.
A nostro avviso, il prodotto fisico – per quanto esteticamente bello e unico – ha poco senso di esistere.
Abbiamo recentemente acquistato il Playdate – se non lo conosci, scoprilo qui. Anche questo dispositivo è stato progettato da Teenage Engineering e presenta molte caratteristiche simili al Rabbit: dimensioni compatte, un colore distintivo, schermo no touch e una ghiera laterale. Tuttavia, l’esperienza offerta dal Playdate è completamente diversa: è semplice ma incredibilmente appagante.
Il progetto trasforma i limiti del Playdate in punti di forza, arricchiti da dettagli di UX ben curati. Si tratta di una console portatile simile al Game Boy, con giochi sviluppati sia dall’azienda che dalla community, progettati specificamente per le caratteristiche del dispositivo. Molti di questi giochi si concentrano sullo storytelling, risultando intuitivi e piacevoli. Ogni settimana vengono rilasciati due nuovi giochi per mantenere l’interesse degli utenti sempre vivo e attivo.
I Ray-Ban Meta non li abbiamo ancora testati personalmente, ma al momento le recensioni sono tutte positive. Ciò che li rende interessanti è che non cercano di sostituire lo smartphone, ma di estenderne le funzionalità, integrandosi anche con gli account Instagram, WhatsApp e Facebook. Gli occhiali si inseriscono in un ecosistema già esistente e convivono senza problemi con altri dispositivi personali come smartphone, smartwatch e cuffie. Invece di rimpiazzarli, sfruttano la loro particolare posizione per migliorare l’esperienza della fotocamera, rendendola più veloce, semplice ed efficiente da usare.
Humane AI Pin è stato lanciato quasi contemporaneamente al Rabbit con un obiettivo simile, ci sembra però un prodotto più “onesto”. Anche questo dispositivo punta a sostituire lo smartphone attraverso un assistente vocale, ma cerca di farlo attraverso una tipologia di prodotto nuovo, che sembra una spilla. Pur con i suoi limiti evidenti, è unico e originale.
Il Rabbit, invece, ha un’architettura di prodotto simile a quella di uno smartphone, solo con un form factor diverso. Nella pratica, però, è uno smartphone “castrato” in tutte le sue funzionalità principali: fotocamera, schermo, touch, gesture e processore. È difficile pensare che possa sostituire uno smartphone: questi ultimi sono più efficaci ed efficienti in ogni ambito e, soprattutto, conoscono già le nostre abitudini e hanno acquisito la nostra fiducia. Quando Apple o Google lanceranno il proprio LAM, avranno accesso a tutti i dati necessari per creare un vero compagno o assistente personale, cosa che il Rabbit difficilmente riuscirà a fare.
Un’ultima riflessione: abbiamo tantissima stima dei progetti realizzati da Teenage Engineering perché riescono a imprimere il loro approccio in maniera organica al prodotto e all’interfaccia, creando un’esperienza d’uso sempre interessante e appagante – come nel caso del Playdate.
Con il Rabbit R1, invece, pur riuscendo a lasciare il segno a livello estetico, l’esperienza finale è deludente. Ci domandiamo quanto il team sia stato effettivamente coinvolto nella progettazione globale del prodotto, specialmente per quanto riguarda l’interazione utente, che, purtroppo, è piena di errori di usabilità. Sembra quasi che il loro contributo si sia limitato a un esercizio di stile più che a un vero progetto di design.
Ad aprile 2024 è stato annunciato che la collaborazione tra Rabbit e Teenage Engineering continuerà (qui l’annuncio). Siamo curiosi di vedere come si evolverà questa partnership.
Il Rabbit R1 è un interessante caso di studio: ha tutto quello che serve per avere successo – un design accattivante, una mascotte simpatica e un marketing aggressivo – ma l’esperienza d’uso delude profondamente. Anche se gli elementi di qualità ci sono, il risultato finale lascia molto a desiderare.
Ci auguriamo che nei prossimi aggiornamenti Rabbit possa finalmente imparare a saltare e a non deludere le aspettative. Come direbbe il Bianconiglio : "Presto che è tardi!", perché i fan potrebbero stancarsi di aspettare.
In sintesi, ecco la nostra opinione:
Continua a leggere il nostro blog